Fino agli anni ’50 la stragrande maggioranza della popolazione italiana parlava quasi esclusivamente in dialetto. Più di Garibaldi e del Conte di Cavour l’Italia, almeno dal punto di vista linguistico, è stata unificata da un mezzo che di nobile non ha molto, ma la cui efficacia comunicativa resiste ancora oggi, a dispetto di quanti ne catechizzino il suo superamento.
Stiamo ovviamente parlando della Televisione: la “maestra” del popolo italiani.
La prima trasmissione TV, sul suolo italico, si è diffusa nell’etere nel gennaio 1954. Da quel momento, in appena venti anni la popolazione, che parlava esclusivamente in dialetto, si è dimezzata, arrivando al circa 50% del totale. Oggi, tale percentuale è ridotta ai minimi termini.
Nel 2012 è scesa in campo addirittura l’Unesco, che ha redatto una lista delle lingue popolari da salvaguardare. In tutto il mondo, i dialetti in estinzione sono attualmente venti e ben tre di questi sono italiani. Rischiano in particolare di scomparire: il napoletano, il siciliano e il sardo.
La sparizione dell’uso totale del dialetto nella lingua parlata, ha avuto come contraltare l’aumento delle inflessioni e contaminazioni gergali nell’italiano. Soprattutto in quelle regioni in cui il dialetto non è così differente dall’italiano. Sono esemplificativi gli esempi di Toscana, Umbria, Marche ed Emilia-Romagna, in tali zone, chi parla un italiano “puro” è, infatti, la minoranza della popolazione.
Si può quindi evidenziare che:
Persino il Papa in un suo discorso ha sottolineato l’importanza dei dialetti. In particolare, il Pontefice ha fatto riferimento al rapporto tra genitori e figli.
“La trasmissione della fede soltanto può farsi in dialetto. Nel dialetto della famiglia, nel dialetto di papà e mamma, di nonno e nonna. Se manca il dialetto, se a casa non si parla fra i genitori quella lingua dell’amore, la trasmissione della fede non è tanto facile, non si potrà fare”. Queste le sue parole durante una breve, ma significativa omelia.
La nuova concezione visione dei dialetti ha restituito dignità a queste forme linguistiche. Se una volta il parlare in dialetto era visto come un sintomo di ignoranza e scarsi studi, oggi invece prevale la tesi della risorsa comunicativa. I dialetti sono visti non come un peso, ma come un arricchimento. Una risorsa in più.
A maggior ragione, in virtù del fatto che molte espressioni dialettali veicolano persino significati impossibili da trasmettere con l’italiano.
Infine, è stato finalmente riconosciuto ai dialetti il loro altissimo valore culturale e storico, vero patrimonio universale e non solo identitario dei popoli che lì parlano.
Oltre al rispettare ovviamente lingua del mercato locale, in tutti i processi di localizzazione è fondamentale tenere conto degli usi e costumi, ma anche i dialetti rivestono un ruolo centrale in tutte quelle attività che hanno come fine ultimo l’esportazione dei prodotti così come la delocalizzazione della produzione.