Da quando ha cominciato ad espandersi all’estero nel 2016, Netflix ha lanciato il proprio prodotto in 190 Paesi. Se consideriamo che già nel 2017 Netflix investiva quasi 2 miliardi di dollari in produzioni europee, è chiaro che questa espansione verrà accompagnata da massicci investimenti nei contenuti in lingue locali diverse dall’inglese, soprattutto in India, Europa e America Latina. In Italia, per esempio, l’azienda quest’anno ha annunciato l’apertura di un ufficio a Roma da cui coordinare la produzione di contenuti originali in Italiano.
Infatti, l’arrivo di un numero sempre crescente di nuovi contenuti da tutto il mondo, da tradurre non solo in inglese ma anche nelle tantissime lingue in cui sono disponibili i vari servizi di streaming online, sta già portando a una seria carenza di traduttori.
In parte, la questione può essere vista attraverso la stessa lente che ha portato negli scorsi mesi un numero record di lavoratori dell’industria dell’intrattenimento statunitense a minacciare lo sciopero: salari troppo bassi e turni massacranti a fronte di una fame di nuovi contenuti senza precedenti. Ed è indubbio che molti dei principali fornitori di servizi linguistici – a cui le piattaforme si rivolgono non solo per tradurre i sottotitoli, ma anche per doppiaggi, redazione di contenuti per i siti emixing di audio –non offrano condizioni lavorative accettabili ai loro collaboratori.
A ciò si accompagna un problema specifico: in assenza di tecnologie che automatizzino le traduzioni in modo accettabile, in molti casi semplicemente non esistono abbastanza traduttori per tutto il lavoro che c’è da fare. Per ovviare in parte al problema, uno degli standard dell’industria è quello di ricorrere all’English templating, ovvero tradurre un contenuto prima da una lingua all’inglese e poi dall’inglese a una terza lingua: se infatti, per esempio, il numero di persone che sanno fare traduzioni di qualità dal coreano all’italiano è limitato, le persone che sanno tradurre bene in inglese sono molte di più.
Oltre ad appiattire spesso il linguaggio originale, però, questa tecnica produce risultati scadenti: secondo uno studio recente, su 15mila utenti in Spagna, Germania, Francia e Italia, il 61% delle persone si imbatte in un contenuto sottotitolato male ogni mese, e il 70% ha smesso di guardare una serie o un film per questa ragione.
“Una volta superata la barriera dei sottotitoli, alta un pollice, avrete accesso a moltissimi nuovi film sorprendenti”, diceva il regista sudcoreano Bong Joon-ho accettando il Golden Globe per Parasite nel 2019. Le aziende che vogliono vincere le streaming wars potrebbero cominciare offrendo sottotitoli decenti.
Tra etica e qualità si gioca la nuova sfida dei servizi linguistici; di fronte all’abbondanza di contenuti imposta dal digitale, abbiamo bisogno di nuove parole e nuove professionalità per darle voce.